NON-Ultra
Andiamo controcorrente stufi di questa retorica degli eroi sulle ultra-distanze. Parliamo di distanze corte e distanze lunghe.
Oggi parola alla prof, io poi aggiungo qualcosa in coda.
I detti
Partiamo da qualche detto:
A: “Hai fatto Chianti UTMB?”
N: “Sì, ma ho fatto solo la 15km”
G: “Uh figo il trail del Monviso, 100 miglia?”
A: “Io faccio solo la 21km”
A: “Faccio la mia prima gara di Trail! 21km circa 1000d+”
R: “Pensavo facessi qualcosa di più lungo, almeno 45km”
A: “Allenamento faticoso in preparazione: caldo, salite e discese…”
S: “Ma te l’ho detto, sotto i 1000d+ non stai facendo dislivello”.
Ok, fermiamoci un attimo: di cosa stiamo parlando? Di trail running: la corsa in montagna, la corsa sui sentieri, un mondo a cui si avvicinano sempre più persone, come anche alla corsa su strada.
Ultra-moda
E io mi ci metto decisamente dentro.
La corsa sta diventando quasi una moda, tutti corrono. La cosa ha del meraviglioso: la corsa è un mondo stupendo, dà delle enormi possibilità in termini di comprensione del sé, di introspezione, di conoscenza biologica ed emotiva del proprio corpo e della propria anima; siamo nati per correre, ho recentemente letto su un libro decisamente ispirante scritto da chi di corsa ne sa.
Io mi sento nella condizione di voler imparare, di voler stare a guardare, di volermi lasciare lentamente ispirare dagli altri e cerco di essere il più socratica possibile: “io so di non sapere”. Questo approccio è quello che mi è stato insegnato in primis dal mio allenatore: piano piano ha inserito la corsa e gli allenamenti nella mia routine di vita e mi ha aiutata a crescere e conoscere la corsa, mostrandomi di cosa fossi capace e l’ha fatto lasciando che io mi abituassi ai vari cambiamenti che la corsa porta e comporta; questo è l’approccio che vedo nelle persone che mi circondano e da cui volontariamente mi lascio circondare: non a caso Tommaso ha creato una crew di introspezione, vissuta da persone che vedono la corsa come un’opportunità in primis di crescita personale e di contatto con altre persone sincero, vero, sentito.
“So di non sapere”
Da quando mi sono buttata un po’ a capofitto in questo mondo, con quel “so di non sapere” e anche con un bel po’ di sindrome dell’impostore che fatico a togliermi di dosso più che altro perché effettivamente un po’ impostora mi sento, percepisco che anche la corsa è uno di quei mondi in cui tanti fanno gli specialisti. Tanti si sentono arrivati e dispensano consigli e saperi a destra e a manca, spesso senza immedesimarsi nell’altro ma proiettando sull’altro il loro modo di vivere la corsa, il loro modo di allenarsi, il loro modo di iscriversi alle gare e di correrle. Poi, fatalità, questo modo è chiaramente quello che va’ per la maggiore e quindi è considerato “giusto”.
Da piccola mi hanno insegnato che invece è sempre meglio avere “sinque schei da mona in scarsea”, cioè cinque soldi da scemo in tasca. Guarda e taci.
Torniamo a noi: il trail, le distanze lunghe. Tutti eroi: sì perché tutti affrontano queste distanze incredibili, 70-80-100-120-160 km. Se fai meno km, se gareggi su distanze più corte non vali nulla, se anche su strada non porti a termine almeno una maratona in termini di distanza non conosci la corsa. O ultra o lascia proprio perdere, non corri, non ti alleni, non vivi in modo giusto: non vai di moda.
Io, chiedo scusa, queste distanze le ho affrontate, in montagna e quindi con del dislivello, con uno zaino di 7 kg sulle spalle e mentre lo facevo, da sola, senza gara e senza sponsor, mi sono certamente servite per approfondire, per approfondirmi. Le ho affrontate camminando, quando non sapevo nemmeno dell’esistenza del trail running e non mi piaceva nemmeno usare la parola trekking: di km ne ho fatti 750, in una quindicina di giorni; ho camminato, faticato, mi sono stancata, per ritrovarmi. Mi è servito? Sì. Mi ha portata alla corsa? Si. Sarei capace di fare una 80 km o una 100 km? Sì. Certo. Ma non starei correndo. Sì certo. Ma non starei bene: il mio corpo ce la farebbe ma la mia testa raggiungerebbe dei luoghi di fatica emotiva e di dolore che non voglio vivere in gara, non per forza. Non fa per me.
A ognuno il suo
Sarà lo spirito agonistico che mi contraddistingue, sarà che se devo fare una cosa la devo fare bene, ma io non mi ritengo sbagliata se più di 21 km non riesco a correre, a correre sempre, beninteso: se 80 km li faccio in 15 ore di fatto significa che non sto correndo, sto camminando in montagna: che va benissimo, meraviglioso, stupendo, ma non è corsa, non mi sentirei più eroina di correrne 30. Non fa per me, non in gara quanto meno. Perderebbe il senso: in gara vuoi stare bene, goderti il viaggio e ricordare al tuo corpo il percorso che ti ha portato a sostenere quella gara. Vuoi divertirti, o no? Serenità e tranquillità.
A ognuno il suo: mi sento in egual modo capace se faccio una gara di trail di 20 km, se sono nettamente più brava a sostenere una mezza maratona che una maratona su strada. Sto correndo. Mi sto divertendo. Sto vivendo la corsa, a modo mio.
A ognuno il suo e senza giudizio, senza vergogna. Non siamo atleti professionisti, bisognerebbe ricordarselo.
Se fai mezze maratone non fai solo mezze maratone su strada, se fai un trail corto non sei meno capace di chi fa un’ultra trail: semplicemente vivi la corsa nella tua dimensione.
Smetti di giustificarti, smetti di sminuirti, smetti di toglierti del valore: fai quello che ti piace? Sii l’eroe di te stesso.
Angela
Distanze lunghe o corte
Se lo chiedete a me, Tommaso, la risposta è certamente la prima. Le distanze lunghe mi hanno fatto scoprire parti di me e del mondo che non avrei mai trovato altrimenti.
Quello di cui sono stufo però è questa retorica eroica attorno a queste distanza. Credo che un atleta che vince LUT50 sia meritevole quanto quello che vince LUT120.
Il tema rimane sempre uno solo: fare quello che ci piace e farlo perchè ci fa stare bene.
Che si tratti di ultra o meno.
Tommy
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Doveva essere detto, è stato detto bene, dovrebbe essere detto di più.
Un lungo applauso!