Vulnerabilità
Accettare la nostra fragilità per riscoprire la nostra forza: qualche riflessione sulla vulnerabilità nelle nostre relazioni e nella nella nostra vita quotidiana
In questi giorni
Siamo vulnerabili: non tutto è facile o si raggiunge facilmente, non tutto procede perennemente in linea retta, non tutto ciò che luccica è oro.
Sembrano, in realtà sono, frasi fatte: accettiamo a prescindere che sia così, lasciamo che sia così e ci diamo la pacca sulla spalla, quando tutto funziona però, o torna a funzionare.
Nel bel mezzo della vulnerabilità io non mi sento nella condizione di rifiutarla o accettarla: è già tanto che riesca a viverla, a comprenderla, ad esserne consapevole tanto da capire da dove deriva.
Facciamo un passo indietro e diamo un po’ di contesto.
È assolutamente normale, in una vita assieme, fatta di cose diverse, di mondi che prima erano lontani giusto 500 chilometri (che, sembrerà incredibile, sono ‘meno’ per Angela che per Tommaso) e di lavori diversi, che ci siano dei momenti in cui si fanno cose diverse: questo fine settimana Tommaso è tornato in Veneto, per lavoro e per la famiglia e poi andrà in quel di Chamonix mentre Angela è rimasta a Torino, nonostante avrebbe tanto voluto vedere la famiglia, per amicizia, lavoro e qualche responsabilità casalinga.
Abbiamo quindi fatto cose diverse e, come tutte le coppie, ci sentiamo: qualche ora di FaceTime, qualche messaggio; Tommaso condivide TedXCortina e i suoi speeches, Angela condivide l’aver imparato a cambiare una camera d’aria bucata da sola; Tommaso racconta del matrimonio al caldo, Angela di 27 km al caldo di Milano in compagnia di amici che hanno cuori giganti; Tommaso vive l’atmosfera di Chamonix con UTMB, Angela quella del rientro a lavoro…come prima, come fino a marzo.
La lontananza fa percepire la mancanza e la voglia di tornare vicini: è una cosa molto bella; manca la quotidianità, del caffè, del lavoro, dei momenti di tranquillità, anche delle discussioni, manca il contatto.
Vulnerabilità
La lontananza però crea vulnerabilità: allenta un po’ di sicurezza e fa insorgere delle paure. Ed è facile dire che anche questo è “normale”, che va accettato, che è bello come parte della quotidianità: ma nel momento in cui si è vulnerabili, in cui manca il senso di sicurezza, in cui si ha paura tutto si pensa tranne che l’accettazione dell’esserlo e la pacca sulla spalla per l’esserlo. Nel momento in cui si è vulnerabili, si è incerti, si ha paura, non ci si rende conto dell’esserlo: vivere quel momento, che magari può durare a lungo è difficile.
Quando ti ritiri da una gara, quando fai DNF, sei già consapevole, l’hai già accettato, hai già capito perché eri vulnerabile, cosa ti ha fatto traballare: è il momento prima di decidere, di accettare, la parte difficile. Per me, a Stoccolma, la parte difficile era sentire che qualcosa non andava e vivere questo male; quando mi sono ritirata, al 25esimo km, avevo accettato di ritirarmi: il problema sono stati i km dal 17 al 24 quando ero fortemente vulnerabile, in crisi, in panico.
Riesci a capirti, a guardarti allo specchio, a essere consapevole, quando sei vulnerabile?
Il mio consiglio è solo quello di dirlo: “ancora non so cos’ho e come fare ma in questo momento non sto bene”.
Poi, in due, la soluzione la troviamo. E adesso accetto di essere vulnerabile in questi giorni perché siamo lontani e mi do una pacca sulla spalla: sono consapevole del perché, so da dove deriva, lo accetto. Farò del mio meglio, faremo del nostro meglio.
Credo che in una relazione affidarsi all’altro nei momenti di difficoltà sia fondamentale, ma non scontato. Implica coraggio e grande fiducia.
Affidarsi vuol dire saper riconoscere i propri limiti, chiedere aiuto ed accettare che l’altro possa aiutarci.
Un po’ di mitologia, dalle “Argonautiche”
Medea, da giovane, aveva consegnato la sua vulnerabilità al suo futuro marito, Giasone: prima di lasciare casa e trasferirsi con lui aveva avuto una crisi profonda, senza capire da dove derivasse; era profondamente innamorata di Giasone, si sposava per una ragione forte, avrebbe fatto di tutto per lui, con il sorriso: in quel momento però piangeva disperata davanti a lui. Lui ha accolto e spiegato queste sue lacrime: avrebbe dovuto lasciare la famiglia e cambiare casa, non c’era nulla di male nello star male per questo, lui non si sentiva messo in dubbio da questa crisi; lei, con un sospiro di sollievo, a quel punto smette di piangere e si lascia andare, a lui e alla vulnerabilità che la contraddistingueva, a volte molto inconsapevole.
NB: qui siamo all’inizio della loro storia, non alla fine. Tutto ciò che poi riguarda Giasone e Medea non c’entra: erano gggiovini ancora, nonostante Medea già dimostrasse di essere una persona dalle scelte estremamente radicali. Il mito di Medea è lungo e complesso, ma di un significato meraviglioso.
Angie e Tommy
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